Introduzione della Prof.ssa Severino alla Cerimonia d’Inaugurazione dell’Anno Accademico 2023-2024.
Il lungo cammino verso la parità di genere. Un percorso compiuto o un percorso da completare?
Autorità
Magnifiche Rettrici, Magnifici Rettori
Colleghe e Colleghi
Studentesse e studenti
Ospiti tutti,
desidero rivolgervi un caloroso benvenuto e saluto la nostra ospite,
Paola Cortellesi, che ringrazio per aver voluto partecipare alla nostra cerimonia.
La prolusione che mi accingo a svolgere si inserisce in un anno
particolare, in cui il tema dello squilibrio di genere – purtroppo anche
nelle sue manifestazioni più intollerabili, legate alla violenza di genere –
è emerso come questione attualissima.
Gli ultimi dati raccontano le due facce di una stessa medaglia.
Da una parte, il Global Gender Gap Index del 2023 ci dice che ad oggi
nessun Paese ha raggiunto la piena parità tra i sessi e che, di questo
passo, ci vorranno circa 131 anni.
Dall’altra parte i dati italiani ci parlano di 120 donne uccise nel 2023, con
un aumento del 5% degli omicidi commessi dal partner o ex partner.
Dati sconfortanti. E tuttavia, da giurista, riflettendo nella prospettiva –
sollecitata anche dallo straordinario film di Paola Cortellesi – delle
conquiste delle donne nell’arco degli ultimi decenni, mi sono detta che la
presenza di tanti giovani in questo momento così solenne, impone di
tracciare la storia del percorso dei diritti delle donne. Ho avuto la fortuna
di nascere nel 1948, anno nel quale, anche grazie all’opera di 21
straordinarie donne (che io chiamerei le MADRI della
Costituzione, affiancandole ai ben più spesso citati Padri della
Costituzione), è entrata in vigore la nostra Carta fondamentale. Per me
dunque si tratta quasi di una testimonianza per ricordare a voi, ben più
giovani, le tappe di un lungo cammino ancora in corso.
Per il riconoscimento dei diritti politici alle donne si è dovuto aspettare
il secondo dopoguerra, e più esattamente il 1945, allorché il diritto di voto
è stato esteso alle donne maggiorenni, mentre nel 1946 le donne con
almeno 25 anni di età hanno potuto essere elette.
Ragazze, quando andate a votare, mettetevi il “vestito bello” (chi ha visto
il film comprenderà meglio questo richiamo simbolico e chi non lo ha
visto vada a vederlo subito) e anche voi ragazzi fate lo stesso, perché il
diritto di voto rappresenta per tutte e tutti una conquista di civiltà. E
quando lo farete guardate con riconoscenza i vostri genitori (esattamente
come si intuisce, in un gioco di sguardi, nel film) che hanno tracciato il
difficile e lungo percorso del suffragio universale. Ma non fermatevi lì,
perché il testimone deve passare di generazione in generazione tra voi
giovani che sarete le donne e gli uomini di domani e dovrete portare a
meta la fiaccola del raggiungimento della parità di genere e della
sconfitta dei meccanismi che alimentano la violenza sulle donne.
L’educazione, la formazione, la scuola, l’Università, il senso della legalità
e del merito ci devono condurre a questo fondamentale risultato.
Al riconoscimento del diritto di voto segue l’enunciazione del principio
di eguaglianza davanti alla legge. Approvato nel marzo 1947
dall’Assemblea costituente, l’art. 3 Cost. rappresenta un importantissimo
traguardo per le donne italiane, che vivevano – come il film di Paola
Cortellesi ci ha mostrato – in un Paese profondamente patriarcale, in cui
l’esercizio dello ius corrigendi da parte del marito era legittimato dal
nostro codice.
Qui entra in scena la prima protagonista che voglio oggi ricordare: Lina
Merlin, una delle donne che partecipano ai lavori
dell’Assemblea Costituente.
Il suo nome è rimasto legato, nella memoria collettiva, soprattutto alla
legge sullo sfruttamento della prostituzione.
Forse però non tutti ricordano che a Lina Merlin si deve l’inserimento, nel
primo comma dell’art. 3, della precisazione «senza distinzione di sesso»,
indispensabile base giuridica cui si sono potute riferire, negli anni
successivi, molte delle conquiste delle donne italiane – dall’uguaglianza
sul lavoro, fino alla riforma del diritto di famiglia.
Dopo questo primo riconoscimento ci si sarebbe aspettato un immediato
adeguamento delle norme ordinarie al principio dell’art. 3 sulla parità di
genere, ribadito poi dall’art. 51 Cost. sulla parità di accesso agli uffici e
alle cariche pubbliche.
Ma sarà solo dopo 15 anni che, grazie ancora ad una donna, Rosa Oliva,
verrà sfondato il muro dell’accesso. Rosa Oliva si era vista
rigettare la domanda di partecipazione ad un concorso nella carriera
prefettizia poiché il bando indicava tra i requisiti il sesso maschile. Rosa
Oliva impugna il bando ottenendo la pronuncia della Consulta che ha
segnato una svolta storica: l’apertura dei concorsi pubblici alle donne.
Grazie al suo ricorso, le prime otto donne entrano in magistratura. Una
di loro, Maria Gabriella Luccioli, sarà la prima donna a varcare le soglie
della Cassazione, aprendo così le porte a Margherita Cassano
che diventerà Prima Presidente della Corte, ma solo a marzo del 2023.
Ben 63 anni per ottenere l’attuazione di una norma già contenuta nella
Costituzione.
E sarà ancora ad opera di una donna, e solo nel 1977, che verrà sancita la
parità nel lavoro, dando attuazione al principio già enunciato dall’art. 37
Cost. Intendo riferirmi a Tina Anselmi, prima Ministro nella
storia dei Governi italiani.
E sarà solo una sentenza della Corte Costituzionale a dare attuazione nel
1968 all’art. 29 Cost. che stabilisce l’eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi. Ben 20 anni sono occorsi per eliminare la palese sperequazione
dell’art. 559 c.p. che puniva esclusivamente l’adulterio della moglie. E
altri 7 anni sono occorsi per attuare nel 1975 la riforma del diritto di
famiglia che ha come concetto chiave la parità tra coniugi e scardina il
retaggio di tipo patriarcale su cui si erano, sino ad allora, retti i rapporti
familiari. E poi ancora altri 47 anni per la dichiarazione della illegittimità
costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione
del cognome del padre perché ciò “si traduce nell’invisibilità della
madre” e “si riverbera e si imprime sull’identità del figlio”. Così come, nel
film di Paola Cortellesi, le tremende violenze subite dalla madre si
riflettono nella manesca aggressività tra i figli maschi e nella iniziale
passività della figlia.
E sarà ancora grazie ad una donna, anzi ad una ragazza, Franca Viola
, che si avrà un altro importante passo avanti nel
riconoscimento del diritto al rispetto della propria integrità fisica e
morale.
È il 1966, Franca Viola ha 17 anni e viene rapita, segregata e stuprata dal
ragazzo con cui aveva interrotto il fidanzamento. La convinzione è che la
ragazza avrebbe accettato, secondo gli usi, le nozze riparatrici. Mai era
accaduto che una donna «disonorata» rifiutasse di convolare a nozze con
il suo violentatore, e la ribellione di Franca Viola diventa uno spartiacque.
È questa la storia dell’abrogazione della causa d’onore nel 1981, con
riferimento sia all’istituto del c.d. «matrimonio riparatore», che
estingueva i reati di violenza sessuale, sia all’omicidio e alle lesioni
personali a causa di onore con una rilevantissima riduzione della pena
per l’uomo che avesse ucciso la moglie, la figlia o la sorella allorché ne
avesse scoperto «la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira
determinato dall’offesa recata all’onore suo o della sua famiglia».
E si dovrà ancora attendere la riforma dell’ordinamento penitenziario del
1975 per dare parziale attuazione al principio di rieducazione del
condannato di cui all’art. 27 Cost., consentendo alle detenute madri di
tenere con sé i propri figli. Ma i nostri tanti studenti volontari e
ambasciatori del progetto “Legalità e Merito” insieme alla Fondazione
Severino sanno, grazie alle loro attività di sostegno nel carcere femminile
di Rebibbia, quanta sofferenza vi sia in quelle donne recluse in una
istituzione maschile, pensata da uomini per uomini, forse anche perché
solo il 4,2% della popolazione carceraria è rappresentato da donne e
quindi non si è mai particolarmente investito sulle strutture detentive
femminili e su lavori carcerari che le donne possano proseguire
all’esterno quando dovranno affrontare i disagi di un reinserimento
sociale difficilissimo. È proprio questo il compito che ci siamo assunti con
i nostri studenti perché aspiriamo ad essere, come ha detto il Presidente
della Repubblica nel suo discorso di fine anno, “sognatori che cambiano
la realtà” e che “lavorano per dare speranza e dignità a chi è in carcere”.
E veniamo all’ultimo doloroso capitolo della violenza di genere. Io credo
che saranno le tante donne vittime di femminicidi anche in questo anno
a scuotere le nostre coscienze e a chiedere a gran voce che
le recenti norme sullo stalking e sulla prevenzione dei femminicidi
trovino effettiva attuazione. Ciò può avvenire solo se la coscienza
collettiva, di noi cittadini e delle forze dell’ordine, comprenderà che gli
allarmi non vanno ignorati, che le mura domestiche non vanno
considerate invalicabili baluardi della violenza, che le grida di aiuto
vanno ascoltate.
Credo, allora, che anche la protagonista del film di Paola Cortellesi, Delia,
possa in qualche modo rappresentare in modo forte e simbolico tutte le
donne che hanno subito violenza per mano degli uomini loro più vicini –
padri, mariti, compagni. E che, ciononostante, trovano la forza per
opporre la propria ribellione.
Credo sia questa una delle belle lezioni del film, insieme al fondamentale
messaggio che solo la dimensione sociale e collettiva potrà consentirci di
sconfiggere questo ineffabile fenomeno criminoso.
Siamo in una Università e credo che in conclusione sia davvero
importante interrogarci su quale può e deve essere il ruolo di un Ateneo
su questo terreno.
Voglio quindi citare l’impegno profuso, specie negli ultimi anni, dalla
Luiss, che ha introdotto policy inclusive, ha adottato un Gender Equality
Plan, ha istituito la figura dell’Advisor del Rettore per diversità e
inclusione, ha varato un codice per la prevenzione e il contrasto delle
discriminazioni e delle molestie, ha organizzato un ciclo di seminari
(dall’inequivoco nome “Any Given 8”) tenuti ogni “8” del mese – perché
delle donne e dei loro diritti non si deve parlare soltanto l’8 marzo. Così
come non si deve parlare del lungo e faticoso percorso per attuare la
parità di genere e per sconfiggere la violenza di genere solo il giorno della
inaugurazione dell’anno accademico. Per quanto mi riguarda,
continuerò a parlare alle mie studentesse di come rendere il cammino
verso il successo professionale compatibile con i valori della famiglia e
della solidarietà verso altre donne magari meno fortunate, ma altrettanto
dotate. E proseguirò nel dialogo, intrapreso in aula con i miei studenti
all’indomani del barbaro omicidio di Giulia Cecchettin, per
comprendere perché un ragazzo apparentemente “normale” possa
covare dentro una così terrificante furia omicida. Insegno all’Università
da decenni. Ho trascorso gran parte della mia vita a trasmettere in voi
giovani il senso dell’osservanza della legge, l’apprezzamento del valore
del merito, il rispetto tra ragazze e ragazzi. Mi sento spesso dire,
soprattutto dalle studentesse: “professoressa, vorrei diventare come lei”.
Ma ne incontro altrettante che dopo molti anni dalla laurea mi
riconoscono, mi fermano, mi raccontano la loro vita e scopro con
immensa gioia che… sono diventate più brave di me. E io sono orgogliosa
e voi tutti dovete essere orgogliosi di quelle che ce l’hanno fatta e
aiuteranno tante altre a farcela. Non ad essere le prime. Io sono stata la
prima in tanti incarichi, ma quando sento leggere il mio curriculum penso
sempre che la vera parità di genere si realizzerà solo quando non ci
saranno più “prime”, ma tutte quelle brave potranno raggiungere la loro
meta senza ostacoli diversi da quelli che si troveranno davanti i ragazzi
altrettanto bravi. Ecco che cosa le nostre madri ed i nostri padri
costituenti hanno voluto intendere per parità di genere. Ecco che cosa
nel film bellissimo di Paola Cortellesi connota in maniera commovente e
profonda il tema dei rapporti tra madre e figlia di fronte alla violenza di
genere. Ringrazio perciò la sensibilità del nostro Presidente Gubitosi per
aver fatto questa scelta così innovativa e sfidante per una inaugurazione
dell’anno accademico e naturalmente la generosità della nostra ospite
Paola Cortellesi nell’accogliere questo invito. Do quindi a lei la parola per
il suo intervento.
Grazie